Questo è un paese per vecchi

lunedì 1 novembre 2010

La crisi mondiale ha messo alle corde il capitalismo, l’idea che l’imprenditore, proprio perché si assume i rischi d’impresa, è libero di decidere quello che ritiene più opportuno per ottenere il massimo profitto. Principio questo che non fa una grinza, condivisibile fino a quando non viene messa in crisi un’intera società. Lungi dal voler promuovere formule comunistiche, che abbiamo visto franare impietosamente nella ex Unione Sovietica, sono convinto che il mondo deve cambiare rotta ed inaugurare una nuova era politica sociale.
I sacrosanto diritto alla libera iniziativa va modificato in funzione delle esigenze sociali e del benessere della società. Va chiesto a tutti un passo indietro. Mi riferisco ai vecchi capitalisti senza freni, ai sindacalisti legati all’idea di un comunismo morto e inattuabile, ai centristi che si mettono appunto al centro, pensando che la verità stia nel mezzo. La libera iniziativa con ampie facoltà di decisione andrebbero alle piccole imprese, artigiani e liberi professionisti, mentre il grande capitale e cioè la grande distribuzione, le aziende soggette a spostare ed influenzare le grandi politiche industriali, andrebbero sottoposte ad un attento controllo analizzando l’impatto sociale. Mi riferisco al discorso di Marchionne. Un’azienda come la FIAT che con tutto l’indotto, rappresenta da sola una parte rilevante dell’economia italiana, non può unilateralmente decidere di lasciare il paese alla ricerca di mercati più convenienti, dimenticandosi dell’immenso debito che ha accumulato negli anni, nei confronti dello Stato.
A tal proposito è mancato un messaggio forte da parte della politica e del governo. In momenti così drammatici per l’economia e l’occupazione l’esecutivo deve fare sentire la sua voce. La Germania, grazie alle decisioni “forti” prese dalla Cancelliere Angela Merkel, non solo ha mantenuto i posti di lavoro, ma incrementato la produzione.
I motivi che hanno portato prima alla crisi finanziaria e conseguentemente a quella industriale, sta proprio nella ricerca sfrenata e senza limiti del profitto. Ovvio che se si accetta il libero mercato, la ricerca del profitto non conosce limiti salvo deciderlo per fini socialmente necessari. Il divario tra ricchi e poveri è aumentata in modo disumano. I ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri ed in numero maggiore.
E’ auspicabile una via diversa alla formazione economica sociale, ripartendo dall’università, luogo di formazione del pensiero e delle nuove leve decisionali della società. Il manager del futuro non dovrà solo avere una visione di benessere personale. Oltre al proprio benessere dovrà occuparsi del benessere aziendale, compresi i lavoratori, che non devono essere visti solo come strumento, ma come capitale umano, produttori e consumatori dello stesso prodotto realizzato. L’uomo non è uno strumento inerme, un congegno che si aziona a comando. L’uomo non è una macchina che una volta consumata si sostituisce con una nuova.
La considerazione che fino al secolo scorso i grandi “padroni” avevano nei confronti delle maestranze, erano spesso artificiose, ma va riconosciuto che molti di loro di avere creato delle aree sociali che in qualche modo alleggerivano il concetto di “lavoratore” strumento. Solo negli ultimi anni il benessere ha riconosciuto al “lavoratore” un’anima. Questo però solo fino a che il benessere era raggiunto dalla maggioranza dei suoi componenti. Nel momento in cui le cose sono degenerate nella crisi e nella disoccupazione dilagante, l’uomo perde di fatto i diritti acquisiti. L’abbassamento, in certi settori, della paga salariale, sta portando il nostro paese alla paralisi. Il potere di acquisto è sceso in due anni a livelli preoccupanti. Le aziende che hanno spostato parte della produzione verso paesi come l’India, la Cina, dove la paga oraria è di ½ euro all’ora, pretendono che anche l’Italia accetti questo, lasciando poi il prezzo alla vendita a quelli attuali. Il capitalismo negli anni passati vedeva le previsioni rosee proiettate a decenni avanti. Oggi un previsione a 3/6 mesi, senza iniziative governative, è problematica. I capitalisti ragionano senza previsione. Guadagnare ad ogni costo senza chiedersi come potrebbe essere tra 2 anni e senza pensare soprattutto a cosa lasciano ai loro figli, agli amici dei loro figli e ai nipoti dei suoi figli.
Il mio sembra un discorso quasi banale, ma proprio perché potrebbe essere nessuno o quasi lo fa. Ecco perché è solo la scuola, l’università l’unico luogo che può preparare un futuro diverso.
Un futuro diverso passa attraverso la formazione delle nuove generazioni, che dovranno avere come compito principale l’onere della responsabilità sociale a tutti i costi. Il capitalismo vecchia maniera generava tanti ricchi e creava benessere accettabile alla società, mentre oggi genera pochi ricchi e poveri in eccesso. Fatto questo inaccettabile.
Se non cambiamo rotta, se il governo non prende misure a favore delle piccole imprese, che sono sempre state il capitale umano del paese, presto questo diventerà un paese per vecchi sempre più poveri. 
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